Abbigliamento: una delle prime cause di intossicazione
Dal blocco delle auto all’allarme glifosato, dalle polveri sottili alle mozzarelle blu, la qualità dell’aria e del cibo sono spesso al centro delle nostre preoccupazioni. Oltre a respirare e mangiare c’è un’altra funzione della nostra vita quotidiana dalla quale non possiamo fare a meno che non gode però di altrettanta attenzione: vestirci. Eppure le insidie nascoste in ciò che indossiamo ogni giorno, dall’intimo all’impermeabile, purtroppo non sono inferiori al pericolo di “intossicarci” un po’ alla volta che corriamo quando attraversiamo una città o quando ci sediamo a tavola per la cena. Negli abiti si nasconde infatti una subdola minaccia spesso sottovalutata rappresentata da elementi chimici dai nomi complicati: ftalati, formaldeide, metalli pesanti, solventi, coloranti tossici.
Non è un caso che il Rapex, il sistema europeo di allerta rapido per i prodotti non alimentari, metta al primo posto della classifica per sostanze chimiche a rischio proprio vestiti e capi di moda e che il 7-8% delle patologie dermatologiche, stando ai risultati di uno studio commissionato dalla Commissione Ue siano dovute ai vestiti che indossiamo.
L’industria tessile è la seconda più inquinante al mondo, dopo quella che impiega fonti fossili per produrre energia e ricorre ad oltre duemila sostanze chimiche, molte delle quali dannose non solo per la salute ma anche per l’ambiente. Greenpeace dal canto suo ha testato 40 prodotti di abbigliamento e attrezzature oudoor (giacche, scarpe, tende, zaini, spacchi a pelo e persino corde), acquistati in 19 Paesei, trovando tracce di Pfc nel 90% degli articoli. Si tratta di sostanze usate per impermeabilizzare che si degradano con molta difficoltà, rimangono nell’ambiente per centinatia di anni e sono dannose per la salute.
Da un’indagine condotta sui tessili circolanti sull’intero territorio nazionale per il Ministero della Salute dall’Associazione Tessile e Salute, è emerso che il 15% degli articoli erano sprovvisti di etichetta e composizione e che il 34% dei prodotti riportava una composizione sbagliata. Da test di laboratorio è stata evidenziata anche la presenza di sostanze pericolose: il 29% presentava un pH fuori dai limiti, il 4% ammine aromatiche cancerogene, il 4% coloranti allergenici, il 6% metalli pesanti, un altro 4% formaldeide. Sono poi stati monitorati più di 400 casi di gravi dermatiti dovute a: tessili nel 69,1% dei casi; accessori metallici nel 16,5%; calzature nel 14,4%. Importante: l’origine delle patologie è spesso legata alla presenza sui tessili di sostanze da tempo vietate in Italia ed in Europa. I prodotti di importazione risultano talvolta trattati con sostanze chimiche non a norma.
I dati che emergono sono allarmanti e impongono una riflessione sull’efficacia dei controlli e dei sistemi di repressione e su una loro eventuale implementazione.