Ecoturismo: la vacanza sostenibile è possibile?
Partiamo con un excursus: l’ecoturismo, o turismo ecosostenibile, è innanzitutto un’implementazione di un altro concetto nato nel corso degli anni 80: il turismo responsabile.
Essere un turista responsabile indicava nel viaggiatore una duplice sensibilità: una orientata all’ambiente; l’altra, invece, indirizzata verso le popolazioni autoctone e in generale gli abitanti della zona visitata. Sostanzialmente, quindi, i pionieri di questa pratica si ponevano come “esotici invasivi” di un altro territorio, con la consapevolezza di essere penetrati in ecosistemi e società con equilibri propri e diversi da quelli di partenza, e con l’intenzione non solo di non sconvolgere quell’ordine, bensì di tutelarlo e supportarlo attivamente.
L’idea di un turismo che permettesse di conciliare la voglia di conoscenza dell’individuo, pesando nel contempo il meno possibile sul pianeta, creò non poco interesse nei cittadini e nelle istituzioni, rendendo possibile la creazione di attività lavorative specializzate in turismo responsabile, e la nascita di sinergie fra organizzazioni ambientaliste internazionali e associazioni benefiche, speranzose di rendere il viaggio uno strumento utile per la creazione di politiche di sviluppo sostenibile, specie in aree più disagiate e storicamente arretrate.
L’enorme interesse e la conseguente risonanza del turismo responsabile portarono dapprima alla creazione di un documento comunitario, la “Carta Europea per il Turismo Sostenibile nelle Aree Protette” (CETS) nel 1991, e più recentemente al conio di una nuova, forse più esaustiva, definizione del turismo svolto in regime e con scopi responsabili: l’ecoturismo.
Il viaggiatore che ha scelto (e sceglie sempre di più, come confermano i dati del 9° Rapporto Univerde edito nel 2019) di visitare un luogo in maniera ecosostenibile, è colui:
- la cui cura è orientata rispetto l’abbandono di pratiche nocive per gli ecosistemi;
- che quindi non lasci evidenza del suo passaggio nel luogo visitato (sia in termini di rifiuti abbandonati, che di esemplari floro – faunistici non danneggiati);
- e in generale che tenda a ricercare le esperienze e le attività, culturali e non, proprie di quel territorio in modo da arricchire il proprio bagaglio di esperienze personale, incentivando nel contempo sia le usanze sia le attività commerciali, portando infine benefici concreti al territorio.
Sarebbe inoltre di vitale importanza che il rispetto per ecosistemi e società visitate fosse non soltanto pratico oppure imposto, quanto piuttosto avvertito come un’intima esigenza personale: culture e habitat con i quali si entra in contatto devono essere svuotate da stereotipizzazione o pregiudizi, ed approcciate senza atteggiamenti di ridicolizzazione o paternalistici.
All’atto pratico, insomma, il turista sostenibile tenderà a utilizzare i mezzi di trasporto meno inquinanti degli altri, rifiuterà attività che possano nuocere la biodiversità e la genuinità della cultura ospitante ed anzi si impegnerà, dove e per quanto possibile, nella condivisione dei benefici socio-economici derivanti dal turismo con le comunità locali, siano esse realtà più occidentalizzate e conformi al nostro way of life, o che siano da noi più lontane e diverse.
Va comunque per onor di cronaca riportato come “ecoturismo” sia più facile a dirsi che non a realizzarsi, e che in generale il concetto finora espresso non manchi di originare qualche sospetto sulla questione. In primis la stessa Carta Europea non si scosta dal semplice “decalogo” di principi che spesso e volentieri rimangono più dei meri desiderata, che delle linee guida univoche. Inoltre, come e più che per qualsiasi altro servizio, può capitare che gli operatori “sedicenti ecoturistici” usino formalmente questa etichetta a fini principalmente economici, facilmente abusivi, e non realmente conformi ai tanto decantati principi. Senza contare la pur valida ipotesi di chi metta in discussione il fatto stesso che il turismo, di per sé, possa realmente coesistere con l’ecosostenibilità.
Al fine di ridurre queste annose questioni, stanno nascendo sempre più associazioni che promuovono o cercano di sviluppare programmi di certificazione degli operatori eco turistici, così come ONG che promuovono e valorizzano la responsabilità del turista e le comunità sociali alle quali sono collegate, sviluppandone attivamente creazione di lavoro e sviluppo di infrastrutture.
Ma non solo la soluzione ideale, quanto ancora una risposta univoca, sembra lontana dall’essere trovata.