L’agricoltura multifunzionale: al servizio del pianeta e del consumatore
Che dall’agricoltura e dalle attività ad essa collegate, sia dipeso buona parte del destino e dell’evoluzione dell’uomo, è un dato di fatto. La semplice necessità di coltivare i campi, stanziandovisi attorno, portò all’abbandono del nomade in favore del sedentario; variando le colture su base triennale, l’Europa attraversò una crescita demografica del 140%, a cavallo fra tredicesimo e quattordicesimo secolo; nel 1700 la meccanizzazione del processo agricolo portò alla diminuzione del fabbisogno di manodopera, creando addirittura un’inedita classe sociale, il proletariato, che si sarebbe riversato nelle città e nelle fabbriche dando il là a quella che oggi conosciamo come la seconda rivoluzione industriale.
Corsi e ricorsi storici che non mancano, ove ce ne fosse bisogno, di ricordarci che l’agricoltura è da sempre base della nostra esistenza e della nostra sussistenza nonché parte integrante della nostra evoluzione. E se l’umanità si sta progressivamente addentrando nel sentiero che porta alla sostenibilità sociale ed ecologica, una volta ancora l’agronomia procede di pari passo con noi. Rendendo l’agricoltura “multifunzionale”.
La definizione precisa di questo nuovo modo di intendere l’arte della coltivazione è stata fornita dalla Commissione Agricoltura dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico: è multifunzionale quella agricoltura che non solo, ovviamente, sia in grado di fornire beni alimentari, ma anche che sia in grado di assolvere servizi secondari, utili alla collettività. “Disegnare il paesaggio”, “proteggere l’ambiente” “contribuire alla sopravvivenza socio-economica delle aree rurali”, questi (e non solo) sono i fini dell’agricoltura multifunzionale, tracciati già nel pacchetto di riforme del PAC denominato Agenda 2000 e solitamente divisi in quattro grandi macro aree:
- L’area verde che include la parte inerente conservazione della biodiversità ed il rispetto di ecosistema e risorse;
- L’area blu che si occupa invece di acqua, superficiale quanto faldifera, come elemento a sé così come produttrice di energia.
- L’area gialla che racchiude le finalità socio economiche di sviluppo e protezione delle comunità e della realtà storica che essa rappresenta.
- L’area bianca il cui fine è la tutela e la certificazione di qualità dell’alimento prodotto.
Sviluppo e specializzazione diventano quindi i paradigmi cui coniugare la nuova attività agricola, con la possibilità concreta per i suoi attori di integrare il proprio reddito derivante dalle attività contadine tradizionali. La multifunzionalità infatti, per tutte le succitate finalità socio-economiche, richiede un regime di filiera corta (e quindi l’eliminazione di grossisti e distribuzione dal ciclo di domanda e offerta che colleghi produttore e consumatore), il quale sta vivendo a livello globale il suo momento di massimo sviluppo e interesse da parte dei consumatori.
Il circolo virtuoso che essa sta innescando è ad oggi alimentato dall’aumento di capitali ricevuti e disponibili (e quindi dalla sostenibilità economica del settore) che però al momento non sono ancora sufficienti a fronteggiare egregiamente una richiesta che non sempre riesce a stare al passo con la produzione, e quindi con l’offerta. Questo anche perché l’agricoltura multifunzionale non è ancora una “scienza esatta” e l’evoluzione del settore purtroppo deve fare i conti con infinite variabili: conciliare infatti la fruizione delle opportunità educative, ricreative e sociali e la gestione della produzione agricola non è sempre facile, e spesso può succedere in itinere di rilevare conflittualità fra il settore in cui si decide di essere operativi, e le attività di semina, maturazione e raccolta. Anche perché l’agricoltura multifunzionale necessità inevitabilmente che il coltivatore si renda protagonista di un upgrade della proprie competenze, diventando a tutti gli effetti un imprenditore agricolo, e non sempre questo è così semplice.
Vale però assolutamente la pena di tentare e il giusto stimolo al settore sta arrivando proprio dal consumatore: recenti dati Ipsos dimostrano come le abitudini di consumo in Italia stiano mutando e la compravendita diretta, o comunque la filiera corta, vengano sempre più ricercati in fase di acquisto. Quasi due italiani su tre nel 2019, infatti, hanno comprato prodotti agricoli direttamente da un produttore e, se la percentuale di consumatori che orientano le scelte della propria spesa sulla base della freschezza del genere alimentare è oltre il 70%, è importante come siano in emersione anche altre richieste da parte di noi acquirenti: quasi un italiano su due si interessa infatti non solamente del processo di invecchiamento del prodotto, ma anche a tutto il resto della filiera (dalla produzione alla tracciabilità delle materie prime) e cominciano a “entrare in classifica” anche altri temi, sempre più prioritari per gli acquirenti, come sostenibilità e certificazioni bio.
Possiamo dunque intuire che l’evoluzione del consumatore italiano stia muovendo passi significativi verso il binomio gusto/salute, verso le produzioni sostenibili, etiche, locali e/o biologiche, e verso l’interazione diretta con il produttore, volta a creare un legame di fiducia basato sullo scambio di fidelizzazione per qualità. Non parliamo quindi di un fuoco di paglia, quanto piuttosto di una garanzia nel breve periodo, un treno che nessuna delle parti in causa può perdere. È l’ennesima occasione dell’agricoltura per migliorarsi.
E migliorarci ancora una volta, perché no.