Acqua: poca e persino sprecata
Quest’anno alcuni Comuni hanno dovuto razionare l’acqua e dieci Regioni hanno dichiarato lo stato di calamità a causa della siccità. In ottobre in tutto il Paese è caduto solo il 22 per cento della pioggia tipica del mese, normalmente uno dei più piovosi. «Perché diventi acqua corrente nei nostri rubinetti occorre un anno – avverte il portavoce di Asvis Enrico Giovannini – quindi gli effetti della siccità di quest’anno li avvertiremo l’anno prossimo». Già nel 2016 – segnala l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) – c’erano stati periodi prolungati di carenza o addirittura assenza di precipitazioni, che a fine anno hanno portato le risorse idriche su livelli molto bassi. «Le previsioni del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici – commenta Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf – indicano che in Italia tra il 2021 e il 2050 le precipitazioni estive caleranno del 22 per cento e quelle primaverili del 13 per cento, con picchi nel Meridione».
Ma se per il climate change e le piogge il discorso è globale, per quanto riguarda la gestione dell’acqua l’Italia sta certamente peggiorando. «Il goal 6 dell’agenda Onu – spiega Giovannini – mira a garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua. I target indicano azioni precise e concrete, come migliorarne la qualità, aumentare l’efficienza idrica, proteggere e ripristinare i sistemi legati all’acqua. Alcuni obiettivi sono da raggiungere entro il 2020». Il nostro tallone d’Achille è l’efficienza della rete. Nel 2015 (dati Istat) è andato disperso il 38 per cento di acqua immessa nel sistema idrico (la fisiologia si avrebbe con il 15 per cento di dispersione), il 2 per cento in più rispetto al 2012: non solo non stiamo riducendo, ma stiamo addirittura aumentando la dispersione. Il motivo? I mancati investimenti negli acquedotti. E infatti la Ue ci multa per questo e le procedure d’infrazione a carico dell’Italia attivate da Bruxelles in merito alla depurazione delle acque sono diverse. Secondo Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia, la situazione del ciclo idrico è critica. «Un numero spiega tutto: in Italia si investono circa 35 euro per abitante all’anno contro una media europea di oltre 100 euro. Serve un grande piano di investimenti, di almeno 5 miliardi all’anno, per ridurre le perdite di rete, evitare di sprecare l’acqua e garantire a tutti i cittadini il servizio di depurazione».
I problemi di gestione si aggiungono a una situazione di base anomala. L’Italia non ha mai avuto una grande capacità gestionale delle risorse idriche. «L’Ocse – spiega Gianfranco Bologna – dice che un Paese industrializzato non dovrebbe superare la soglia di utilizzo del 20 per cento della quantità di risorse idriche rinnovabili. Noi abbiamo 116 miliardi di metri cubi di acqua e ne utilizziamo oltre 5o miliardi». Dunque, troppa. E quella poca quantità che rimane rischia di perdere anche in qualità e causa dell’inquinamento delle falde acquifere. Infatti oggi il 30% degli italiani non si fida più a bere quella del rubinetto. Per Emilio Molinari, ex presidente del «Comitato italiano per un contratto mondiale dell’acqua», «almeno fino al 2011 il numero di persone che ha accesso diretto e continuato all’acqua potabile è diminuito». Sono circa 10 milioni i cittadini italiani che ancora non hanno un adeguato servizio di depurazione. L’11% della popolazione ne è sprovvisto. «L’Italia si è fatta trovare impreparata all’aumento della temperatura e alla siccità che n’è conseguita. Infatti, il governo non ha approvato il piano nazionale per gli adattamenti climatici, né la strategia nazionale di economia circolare, due dei tre pilastri fondamentali di un Paese moderno e solo di recente ha approvato il terzo, cioè la strategia energetica nazionale, la cui attuazione è rimandata alla prossima legislatura. Un segnale evidente della nostra scarsa capacità di prepararci a un domani che vedrà cambiamenti epocali come quello climatico».