Aumenta il numero dei giovani colpiti dalla Dipendenza da Web
Da un recente sondaggio online condotto dall’Associazione Di.Te. (Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, Gap e Cyberbullism) su un campione di 500 persone di età compresa tra i 15 e i 50 anni, emerge che il 51% dei ragazzi tra i 15 e i 20 anni ha difficoltà a prendersi una pausa dalle nuove tecnologie tanto da arrivare a controllare in media lo smartphone 75 volte al giorno. Addirittura il 7% lo fa fino a 110 volte al giorno. Molti di essi hanno ammesso di non riuscire a prendersi una pausa da questi dispositivi di almeno tre ore nel 79% dei casi. Il bisogno di controllare continuamente lo smartphone magari per chattare non li abbandona neppure di notte.
Questo fenomeno non risparmia neanche gli adulti: il 49% degli over 35 non sa stare senza cellulare, verifica se sono arrivate notifiche o messaggi almeno 43 volte al giorno, di cui un 6% arriva a sfiorare le 65 volte, e di stare 3 ore senza buttare un occhio sullo schermo non se ne parla per il 58% di loro.
Questi dati sono impressionanti e non a caso la medicina moderna si trova a dover trattare nuove forme di dipendenza: c’è la Nomofobia, la paura di non avere con sé il cellulare e di non poterlo controllare, la Fomo, ovvero la paura di essere tagliati fuori da qualcosa, il Vamping e tutti gli altri fenomeni legati alle web compulsioni che tengono incollate le persone agli strumenti digitali, in particolar modo allo smartphone, e la loro vita di relazione ne risente in modo compromettente.
Tali fenomeni trascendono il semplice campo medico, arrivando ad avere delle profonde implicazioni sociali: . Gli ultimi casi di cronaca hanno dimostrato quanto le nuove tecnologie possano essere lontane dall’empatia, fino a far diventare indifferenti al dolore altrui, avendo a che fare con il tratto impulsivo di queste sindromi da dipendenza tecnologica: tutto quello che si fa lo si vuole condividere subito. Senza pensare alle conseguenze che ricadranno su di sé né tantomeno sugli altri. La tecnologia permette di vivere tutto in modo mediato, anche la paura o un evento traumatico, e quindi di non viverlo sulla pelle, perché il corpo in questa dimensione non è presente. Non ci sono emozioni in quello spazio virtuale, e nulla è realmente condiviso. È semplicemente “mostrato”. Si è centrati sul bisogno immediato: “Voglio pubblicarlo, lo faccio”, è un istinto che bisogna assecondare in modo immediato, senza pensare.
La conseguenza estrema è il cosiddetto fenomeno di Hikikomori: ragazzi e giovani adulti, di età compresa tra i 13 e i 35 anni, che decidono volontariamente di vivere reclusi nelle proprie stanze, evitando qualsiasi tipo di contatto col mondo esterno, familiari inclusi. Si tratta di una sorta di auto-esclusione dalla società odierna, le cui pressioni e richieste vengono percepite come insostenibili. Anche se non ci sono dati certi sulla prevalenza del fenomeno nel nostro Paese, secondo alcune stime non ufficiali il numero di giovani coinvolti sarebbe compreso tra i 30.000 e i 50.000.
I genitori possono capire se la dipendenza che caratterizza i ragazzi è nella norma o se invece sta diventando patologica stando attenti a captare alcuni segni caratteristici come l’alterazione del ciclo sonno-veglia, il mutare della condivisione sociale offline, il modificarsi di alcuni tratti caratteriali. Semplificando, si potrebbe dire che quando c’è un’alterazione delle abilità relazionali e sociali bisogna fermarsi e interrogarsi su cosa ci sta succedendo.
Se si riscontrano comportamenti sospetti, il primo passo che i genitori dovrebbero fare è semplicemente quello di prendersi il tempo per sedersi accanto ai figli e chiedere loro cosa fanno online ma senza giudicarli in anticipo o additarli come nulla facenti. . Inoltre, dovrebbero stabilire un momento “detossificante” dalle nuove tecnologie condiviso da tutti i membri della famiglia. Potrebbe trattarsi di tre ore senza cellulare dove si gioca, si ricorre a strategie creative e si fanno lavori manuali.
“Realizzato nell’ambito del Programma generale d’intervento della Regione Emilia Romagna con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico. Ripartizione 2015”