Come l’Idrogeno può salvare il pianeta
È inevitabilmente scoccata la sua ora. Un po’ in ritardo forse, ma si sa che gli eroi risolutivi compaiono sempre all’ultimo, a salvare inaspettatamente la situazione. Solo che il nostro paladino stavolta non indossa mantelli, non ha identità segrete e nemmeno combatte qua e là con il supercattivo di turno. Stavolta è dell’idrogeno che parliamo, l’elemento più abbondante che esista in natura, e forse la nostra grande speranza di produrre, finalmente, energia pulita e salvare definitivamente il pianeta. Non verrà da Krypton, certo… ma è difficile essere più eroici di così!
L’idrogeno, chiara la matrice greca del termine (letteralmente “generatore d’acqua”), per chi non lo sapesse è il primo elemento chimico della tavola periodica, nonché la base dell’esistenza di oltre il 90% di ciò che in natura esiste, almeno per quel che riguarda lo scibile umano. Ciò che però è sicuramente ignorato dai più, è che oggi distinguiamo e classifichiamo almeno cinque tipi di idrogeno, distinti per “colore”: il nero grigio, il blu, il viola ed infine il verde.
Cosa li differenzia è presto detto, ma prima va prima fatta una premessa doverosa: è vero che l’idrogeno è presente pressoché ovunque attorno a noi, ma trovarlo allo stato “puro”, cioè libero da legami con altre molecole, è molto difficile. Si può sempre “estirpare” dai gas, o dagli idrocarburi in genere, ma con un esoso costo di residui di carbonio, ovvero uno dei nemici peggiori dell’ambiente.
Nero, grigio e blu sono proprio quei tipi di idrogeno, cioè che vengono estratti tramite reazione chimica da altri elementi, producendo inquinamento. Nella fattispecie il nero viene ricavato dall’acqua attraverso una centrale elettrica alimentata a carbone o petrolio; il grigio (circa il 90% della produzione di idrogeno è di questo colore) nasce dal metano ed altri idrocarburi; il blu è invece il residuo di un processo di immagazzinamento di idrogeno a partire da idrocarburi fossili.
Diverso è invece il discorso per il viola, ma soprattutto per il verde: la particolarità di entrambi è quella di essere completamente indipendenti dal carbonio, ma mentre l’idrogeno viola viene estratto dall’acqua tramite centrali nucleari – ad emissioni zero di CO2, ma comunque non esente da critiche dal punto di vista dell’ecosostenibilità e della sicurezza – per l’idrogeno verde si utilizzano centrali alimentate da energie rinnovabili come la idroelettrica, la solare o la fotovoltaica.
Il discorso inerente le potenzialità dell’idrogeno va avanti ormai da qualche anno, ma è da relativamente poco (ovvero il marzo dell’anno scorso) che l’Unione Europea sembra aver accelerato forte sulla tematica, tanto da aver annunciato il varo della Clean Hydrogen Alliance, ovvero la strategia industriale grazie alla quale l’UE intende raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, con la decarbonizzazione e proprio con lo sviluppo delle potenzialità dell’idrogeno come finalità. Nuove sperimentazioni stanno nascendo a seguito di questa politica (l’Austria sta sfruttando, ad esempio, vecchie miniere esaurite, mentre il Regno Unito sta traendo risultati incoraggianti dall’impianto di riscaldamento residenziale condiviso da circa 300 abitazioni al nord della Scozia), ed anche l’Italia fa parte di questo cruciale processo. La prima sperimentazione della nostra penisola riguarderà una acciaieria in provincia di Bergamo, nella quale è in corso la riconversione di un intero hub produttivo all’alimentazione da idrogeno green. Si spera in tal modo di ricalcare i successi già raggiunti nel medesimo settore da Svezia ed Austria.
L’iniziativa, di per sé importante, acquisisce ancora maggiore valore proprio perché impiegata nella siderurgia pesante, risaputamente uno dei rami industriali più inquinanti ed “energivori” della Terra. Potremmo arrivare addirittura a risolvere alcuni degli annosi problemi dell’Ilva di Taranto, proprio per citare uno degli argomenti che sta più a cuore all’opinione pubblica, qualora questo tipo di sperimentazione andasse a buon fine.
Per ottenere questo, vanno però prima risolti due nodi particolarmente cruciali e fra loro collegati: il costo dell’idrogeno verde e l’impiego degli elettrolizzatori per produrre l’energia. Sviluppare i secondi, infatti, vorrà dire rendere la prima sempre più a buon mercato. La vera ambizione è quella di poter adattare gli elettrolizzatori tanto alle necessità domestiche quanto a quelle industriali, rendendo gli impianti sempre più performanti e quindi realmente smart e convenienti. Ad oggi infatti l’idrogeno verde costerebbe fra i 6 e i 9 euro al chilogrammo, a seconda del rivenditore, ma riuscendo appieno a sfruttare la combinazione di determinati elementi (come ad esempio la forza dei flutti del mare del nord tramite un parco eolico, come per altro già avviene in Scandinavia, o l’energia solare), si potrebbe arrivare a pagare per la stessa energia fra i 2 e i 3 euro massimo al chilogrammo, pareggiando quasi il costo dell’idrogeno grigio, ma a fronte di un impatto ambientale pari a zero.