Il boom dei prodotti “senza”: glutine e lattosio nemici della salute?

Sono oltre 4500 i prodotti senza glutine e senza lattosio in vendita nei supermercati d’Italia. Si tratta del 12,8% dell’offerta complessiva del largo consumo confezionato, acqua e alcolici esclusi. L’indagine di Osservatorio Immagino, composto da GS1 Italy e Nielsen, si è soffermata proprio sui prodotti pensati per intolleranti al lattosio e celiaci, ma acquistati anche da consumatori che non soffrono di alcun disturbo alimentare.
Il mercato dei prodotti “senza” ha sfiorato, nel 2016, i 3 miliardi di euro di vendite, in crescita rispetto al 2015: +1,2%. E non sono stati considerati i claim “senza olio di palma”, che avrebbero fatto ulteriormente aumentare la quota di mercato.
La fetta più grande di questa torta, spiega l’Osservatorio, è rappresentata dai prodotti etichettati come “senza glutine”: addirittura dieci volte più rappresentativi degli alimenti accompagnati dal logo della “spiga barrata”, cioè certificati dall’Associazione italiana celiachia. Prodotti, questi, che però stanno crescendo a un ritmo molto più rapido: +5,7% contro il +0,2% dei senza glutine non certificati. Ma il vero passo da gigante lo hanno fatto gli alimenti senza lattosio, che nel 2016 hanno visto incrementare il giro d’affari del +13,8%.
L’etichetta è più trasparente. E sempre a proposito di etichetta, lo scorso 15 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto per reintrodurre l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione degli alimenti. Una misura che era già prevista nel nostro ordinamento ma che era stata abrogata nel dicembre 2013, quando è entrato in vigore il regolamento europeo 1169/2011.
Serviranno 180 giorni perché l’obbligo entri a pieno regime, il tempo di smaltire gli ultimi prodotti senza la dicitura dagli scaffali. Indicare lo stabilimento di produzione è importante soprattutto per motivi di salute pubblica.
Se entra in commercio un prodotto pericoloso per la salute che deve essere ritirato immediatamente dagli scaffali (di recente è accaduto con gli spinaci Bonduelle, anche se le analisi hanno escluso ogni rischio), è fondamentale per il consumatore ma soprattutto per le autorità sanitarie poter rintracciare il produttore nel più breve tempo possibile. Non parliamo di casi limite: queste situazioni si verificano molto spesso in Europa.
Per il consumatore più attento, però, leggere qual è lo stabilimento di produzione è anche un trucco per risparmiare. A volte, infatti, nello stesso stabilimento si produce sia per marchi famosi che per sottomarche. Il prodotto è identico, cambiano il brand e naturalmente il prezzo. Come fa il consumatore a scoprire il “trucco”? Semplice: leggendo da quale stabilimento è uscito l’alimento. Il decreto, però, vale solo per gli alimenti prodotti in Italia. I produttori stranieri che non indicano il luogo di produzione rispettano comunque il regolamento Ue, quindi non sono tenuti a rispettare l’obbligo, anche se vendono la loro merce in Italia.
“Realizzato nell’ambito del Programma generale d’intervento della Regione Emilia Romagna con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico. Ripartizione 2015”