Per il miele italiano si prospetta una crisi di settore, colpa dei cambiamenti climatici
La produzione nazionale è crollata in alcune regioni fino al 95% e soffrono anche le importazioni, dalle quali dipende l’85% del confezionamento italiano. Così l’Italia, stando ai dati diffusi dalla F.a.i, la Federazione apicoltori italiani di Confagricoltura, rischia di rimanere senza miele.
A colpire duro sugli alveari i cambiamenti climatici e una speculazione sui prezzi vista la bassa offerta.
Partiamo dal calo interno. In regioni come la Toscana e l’Emilia-Romagna la produzione di miele registra un calo del 95%. Nella sola Lombardia dalla mancata produzione di acacia il danno subito supera i 30 milioni di euro: in media un alveare ha prodotto tra 500 g/1 kg contro i 20 kg degli scorsi anni. Una criticità che ha toccato anche i territori del miele del Sud con la produzione di miele d’arancio quasi azzerata in molte zone della Sicilia e della Puglia e una produzione media inferiore del 50%, così come per il miele di sulla. A conti fatti, quindi, l’annata apistica 2021 è destinata ad essere ricordata come la più critica degli ultimi decenni.
Le condizioni climatiche avevano seriamente compromesso le produzioni primaverili di tarassaco e di ciliegio, con anche la quasi totale perdita della produzione di miele di acacia, causa un clima fortemente sfavorevole di sbalzi climatici, basse temperature e inaspettate gelate registrate sia al Nord sia nel Centro Italia. Sempre eventi atmosferici avversi hanno gravemente compromesso le fioriture di mandorli, ciliegia, asfodelo, trifoglio ed agrumi al Sud azzerando di fatto le produzioni di nettare necessario per permettere alle api di colonizzarsi e svilupparsi per i raccolti successivi.
Il clima degli ultimi mesi, inoltre, ha reso difficoltosa la raccolta e l’immagazzinamento del nettare, che è servito innanzitutto per il nutrimento delle api: in molti casi gli allevatori sono stati costretti a costosi interventi di nutrizione artificiale degli alveari per evitare che morissero di fame e per salvare gli allevamenti. Inevitabile la ripercussione sui prezzi che nei prossimi mesi si farà sentire sui listini.
Con le importazioni le cose non vanno meglio. Secondo la F.a.i, l’85% del miele acquistato dalle aziende italiane del settore risulta di provenienza comunitaria, ma non è detto che sia stato anche prodotto nei paesi dichiarati d’origine. Metà di quello che mangiamo è miele che proviene dall’Ungheria, che si consolida come nostro primo partner commerciale: il prodotto sdoganato come magiaro è costato circa 15 milioni di euro a fronte dei primi 4.239.445 kg di quest’anno, vale a dire 3,5 euro/kg. Tra i paesi europei si fa notare anche la Spagna, nostro secondo partner europeo, che raddoppia il quantitativo esportato in Italia, sfiorando i 700.000 kg, per un controvalore di 1.840.255 euro, pari a 2,6 euro/kg. Crolla, infine, l’import di miele dalla Cina che si ritrova per ora declassata al terzo posto nella lista dei fornitori extra-europei di miele all’Italia a un costo di approvvigionamento di 1,38 euro/kg. Ucraina e Serbia viaggiano ormai su quantitativi ben superiori ai 314.070 kg del miele proveniente dalla Cina.