Principali composti chimici che possono esser presenti sugli indumenti
Quella dei capi di abbigliamento è una filiera molto lunga, nella quale l’indumento è stato trattato, impregnato, imbevuto, vaporizzato con i più svariati prodotti chimici. Un bombardamento che lascerà sul nostro vestito tracce più o meno elevate di residui chimici e metalli pesanti come cromo, nichel, cadmio, piombo, mercurio, ma anche formaldeide, coloranti allergenici, clorofenoli e altro ancora.
Ecco un elenco di sostanze oggetto di ricerca e di studi a livello internazionale che hanno portato all’emanazione di specifiche normative europee per vietarne o limitarne l’utilizzo, essendo fortemente sospettate di avere effetti tossici o cancerogeni.
Coloranti azoici. Detti anche azocoloranti, derivano formalmente dall’azobenzene. Presentano colori brillanti e requisiti tintoriali favorevoli anche se, rispetto ad altri coloranti, sono meno stabili alla luce, al lavaggio e al candeggio. Sono però poco costosi per cui sono largamente impiegati. In Europa il loro uso è vietato dal 2002 (Direttiva 2002/61), perché possono rilasciare ammine aromatiche potenzialmente cancerogene.
Nichel. Non pensate solo a quello che si vede, come bottoni, fibbie, borchie o zip. Nelle analisi fatte su abiti sospettati di aver provocato problemi alla pelle, capita spesso di trovare tracce consistenti di nichel rilasciato dai coloranti usati per tingere. Le norme europee ne vietano i residui sui capi di vestiario, perché fortemente allergizzante.
Carrier alogenati. Sostanze organo-clorurate che vengono utilizzate per consentire la tintura a bassa temperatura del poliestere e delle sue miste. Sospettati di essere cancerogeni per l’uomo, in Europa ne è stato vietato l’impiego.
Formaldeide. Gas incolore dall’odore penetrante, ha la proprietà di uccidere batteri, funghi e virus, perciò viene largamente impiegato come disinfettante e conservante in moltissime produzioni industriali: mobili, vernici, truciolati, colle, detersivi, materiali isolanti e, appunto, nel settore tessile. Essendo un gas, viene rilasciato nell’aria, provocando irritazioni e bruciori a occhi, naso e gola, ma anche cefalee, stanchezza e malessere generale. È solubile nell’acqua, perciò i lavaggi ne riducono la concentrazione fino alla totale scomparsa.
Ftalati. Vengono aggiunti alle materie plastiche per migliorarne la flessibilità e la morbidezza. Non essendo legati chimicamente alla plastica, possono facilmente “migrare” e depositarsi sulla pelle, essere inalati o ingeriti. Si sospetta che alcuni di essi agiscano come interferenti endocrini, cioè creino scompensi ormonali e danneggino lo sviluppo dei nascituri. In campo tessile sono usati per le stampe di scritte o disegni applicate a magliette, pigiamini, specie nell’abbigliamento dei più piccoli. Se la stampa si “screpola” vuol dire che contiene pochi ftalati, viceversa una stampa che resta sempre morbida e inalterata ne contiene molti. L’Unione europea ha classificato due tipi di ftalati (il Deph e il Dpb) come “tossici per la riproduzione” perché dai test condotti su animali emerge che riducono la fertilità maschile. In tutti gli articoli destinati all’infanzia, indumenti compresi, i residui non devono superare lo 0,001%.
Clorofenoli Pcp, Tpc e relativi sali. Composti biocidi utilizzabili come antimicrobici e antimuffa prima dell’immagazzinaggio e del trasporto; vengono anche impiegati come conservanti per appretti e detergenti, nonché come componenti di paste per la stampa dei tessuti. Secondo le norme europee possono essere presenti solo in tracce limitate sul prodotto finito.
Antiparassitari. Tracce potrebbero essere presenti soprattutto sui capi in fibre naturali. Non sono, come molti credono, i residui della enorme quantità di pesticidi usati nella coltivazione del cotone (quelli restano nell’ambiente, ma si perdono nella lavorazione dei tessuti). Derivano dalle dosi massicce usate per “sanificare” i container che trasportano i capi di abbigliamento da una parte all’altra del globo.
Paraffine clorurate a catena corta (SCCPs). Sono usate nell’industria tessile come ritardanti di fiamma e agenti di rifinitura per la pelle e i tessuti. Sono altamente tossiche per gli organismi acquatici, non si degradano rapidamente nell’ambiente e hanno un’elevata potenzialità di accumulo negli organismi viventi. Il loro uso in alcune applicazioni è stato ristretto nell’Ue dal 2004.
Solventi clorurati. I solventi clorurati come il tricloroetano (TCE) sono utilizzati nell’industria tessile per sciogliere altre sostanze in fase di produzione e per la pulizia dei tessuti. Il TCE è una sostanza dannosa per l’ozono che può persistere nell’ambiente. È anche conosciuto per gli effetti su sistema nervoso, fegato e reni. Dal 2008 l’Europa ha drasticamente ristretto l’uso del TCE sia nei prodotti che nel lavaggio dei tessuti.
Metalli pesanti. Cadmio, Piombo, Mercurio, Cromo VI. I metalli pesanti come cadmio, piombo e mercurio vengono utilizzati in alcuni coloranti e pigmenti. Questi metalli possono accumularsi nel corpo per molto tempo e sono altamente tossici, con effetti irreversibili, inclusi i danni al sistema nervoso (piombo e mercurio) o al fegato (cadmio). Il cadmio è anche noto per provocare il cancro. Il cromo VI (esavalente) è utilizzato in alcuni processi tessili e conciari dell’industria calzaturiera: è fortemente tossico, anche a basse concentrazioni, per molti organismi acquatici. Dal primo maggio 2015 l’Ue ha vietato la vendita di scarpe e pelletteria che superino i 3 mg/kg del metallo. Anche cadmio, mercurio e piombo sono stati classificati come ‘sostanze pericolose prioritarie’ ai sensi della normativa dell’Unione europea sulle acque e sottoposti a rigorose restrizioni.