Quando l’unica innovazione ecologica delle compagnie fossili è il greenwashing …
Del fenomeno di “Greenwashing” abbiamo già parlato in passato, ma per chi ancora non lo sapesse, si tratta di quell’insidiosa pratica di puro marketing di moltissime compagnie, grandi e piccole, che pubblicizzano i loro prodotti come “green” ed “eco-friendly” quando in realtà non lo sono affatto. Si tratta semplicemente di un marketing che ha capito dove stanno andando le intenzioni dei consumatori e ne vuole approfittare, mentre non cambia nulla del modus operandi delle aziende.
Non sorprende, quindi, che persino le compagnie fossili (come le grandi compagnie petrolifere) stiano adottando il greenwashing per “giustificarsi” di fronte agli occhi del mondo, specialmente in questo periodo dove il concetto di transizione energetica sembra essere arrivato sulle scrivanie dei Paesi e dell’Unione Europea, pur essendo tra i principali fautori dell’inquinamento del pianeta.
L’ong “Climate Earth” rileva in un nuovo dossier che l’urgenza di contenere il riscaldamento globale non è mai stata alta come oggi, ma le compagnie fossili incanalano più sforzi in campagne pubblicitarie per ripulire la loro immagine che in azioni concrete. Alcuni studi calcolano come nella realtà ci siano piani per produrre il 120% in più di combustibili fossili entro il 2030 di quanto sia compatibile con l’obiettivo di rimanere al di sotto della soglia degli 1,5°C pattuita con l’accordo di Parigi. Il problema sottolineato dal report è la consistente discrepanza tra realtà dei fatti e come le compagnie fossili presentano al pubblico le loro azioni. Il rapporto analizza le strategie messe in campo da alcuni big tra cui Aramco, Chevron, Equinor, Exxon, RWE, Shell, Total. Sempre di più, il greenwashing passa tramite i social media. E si appoggia a influencer che promuovono, pagati, la sostenibilità di queste aziende.
Il problema, quindi, rimane tutto nella percezione di chi legge le loro azioni: se con una mano presentano iniziative green, dall’altra continuano imperterrite senza cambiare nulla, facendo così sottovalutare il problema reale e tangibile delle loro abitudini aziendali a tantissimi cittadini.
Nel dossier si trovano alcuni esempi significativi di queste pratiche di greenwashing. La Shell, ad esempio, sostiene di investire in biocarburanti e idrogeno a basse emissioni di carbonio, ricarica di veicoli elettrici, energia solare ed eolica. Ma la fotografia reale degli investimenti è impietosa: 2-3 mld di dollari nel 2020 per questi settori a fronte di 17 mld di dollari in combustibili fossili. Chevron dice di essere “parte della soluzione al cambiamento climatico”, ma non ha nemmeno un piano per la neutralità climatica. Exxon spinge i suoi studi sui biocarburanti dalle alghe come opzione per decarbonizzare i trasporti in futuro, ma intanto gli obiettivi di tagli delle emissioni al 2025 lasciano fuori la maggior parte dei suoi prodotti.
Non fatevi ingannare da banner colorati di verde e parole scelte appositamente, queste aziende sono uno dei principali fattori per il quale l’emergenza climatica sta diventando un problema sempre più serio.