Tracce di pesticidi negli alimenti: non solo glifosato sulle nostre tavole
I pesticidi, chiamati anche fitofarmaci, vengono utilizzati nell’agricoltura convenzionale per combattere gli insetti che danneggiano le colture, inoltre vengono usati in grande quantità durante il trasporto e durante la giacenza dei prodotti alimentari nei magazzini e nei silos
Nonostante la crescente diffusione di tecniche agronomiche sostenibili, sono ancora troppi i pesticidi usati in Italia. Anche se tra il 2010 e il 2013 abbiamo assistito a un calo del 10%, nel 2014 c’è stata un’inversione di tendenza e il consumo di prodotti chimici nelle campagne è tornato a salire, passando da 118 a circa 130 mila tonnellate rispetto al 2013. In particolare, nel 2014, sono stati distribuiti circa 65 mila tonnellate (T) di fungicidi (10,3 mila T in più rispetto al 2013), 22,3 mila T di insetticidi e acaricidi, 24,2 mila T di erbicidi e infine 18,2 mila T di altri prodotti. Nel complesso, l’Italia si piazza al terzo posto in Europa nella vendita di pesticidi (con il 16,2%), dopo Spagna (19,9%) e Francia (19%), piazzandosi però al secondo posto per l’impiego di fungicidi.
Ma qualcosa di buono c’è ed è la crescita delle aziende agricole che scelgono di non far ricorso ai pesticidi e di produrre secondo i criteri biologici e biodinamici. La superficie agricola biologica in Italia, infatti, tra il 2014 e il 2015 è aumentata del 7,5%.
Quali pesticidi? Tra le sostanze attive più spesso rilevate troviamo: il Boscalid, il Penconazolo, l’Acetamiprid, il Metalaxil, il Ciprodinil, l’Imazalil e il Clorpirifos, un interferente endocrino.
Nel complesso, uva, fragole, pere e frutta esotica (soprattutto banane) sono i prodotti più spesso contaminati dalla presenza di residui di pesticidi.
Ma l’ultimo allarme arriva dalla Francia e in particolare dal magazine 60 Millions de consommateurs e riguarda il tè. La rivista riporta i risultati di analisi su una trentina di marche di tè vendute oltralpe, comprese quelle bio: le tracce di pesticidi riscontrate nelle bustine arrivano fino a 17.
Come sempre in questi casi, si tratta di una forbice ampia tra “buoni” e “cattivi” produttori, tra campioni nei quali i pesticidi sono pochi e appena misurabili e altri che superano i limiti consentiti dalla legge.
Tra le sostanze rilevate ci sono funghicidi, repellenti, metalli come arsenico, alluminio e mercurio e non sono esenti i prodotti biologici. Senza scatenare un allarmismo indiscriminato contro una delle bevande più diffuse nel mondo, la spiegazione più plausibile è che ai primi livelli della catena produttiva non siano eseguiti i corretti lavaggi delle foglie al momento della raccolta e della lavorazione, forse per non attenuarne il sapore. Vedremo se le analisi sui campioni distribuiti in Italia confermeranno o meno il dato francese.
“Realizzato nell’ambito del Programma generale d’intervento della Regione Emilia Romagna con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico. Ripartizione 2015”